Raul Bove mi piace 4557 giorni fa
La consunzione psicologica da fumo. In occasione della giornate mondiale contro il tabacco si parla delle morti che causa, 6 milioni l’anno, ma non si dà spazio sufficiente alle dimensioni di un danno ancora più enorme e drammatico alla persona: la consunzione psicologica.
Il fumatore è un malato cronico che si sveglia la mattina già stanco e di malumore, che è costretto a interrompere di continuo il flusso delle proprie azioni e dei propri pensieri per produrre una combustione di cui inalare i fumi disgustosi e venefici.
Chi fuma ha sempre un problema in più di chi non lo fa, è più infelice e più irritabile, è più fragile e rischia di continuo la crisi di nervi se non ha abbastanza sigarette o non ne ha affatto, se si può fumare o meno nel luogo in cui si trova, se gli altri disapprovano la sua “abitudine” e così via. Fumare può alterare l’umore e peggiorare la regolazione delle emozioni rendendoci pericolosamente instabili, soprattutto nelle situazioni stressanti. Questa forma di consunzione psicologica si produce con gradualità impercettibile ma inarrestabile e può trasformare un’esistenza normale in una schiavitù silenziosa.
Smettere è come salire una scala. Chiunque abbia provato a smettere di fumare o abbia smesso e poi ripreso conosce a proprie spese gli ingranaggi della trappola: più ci si illude di fare “solo un tiro” e più si scivola nel gorgo di migliaia di sigarette, una dietro l’altra, ciascuna meno soddisfacente della precedente eppure necessaria a placare la dipendenza fisica e la frustrazione che ne deriva.
Quindi il primo requisito per salvarsi è farsi davvero pena: riconoscere quanto sia ridicolo e pazzesco il giogo della nicotina e quanto siamo fuori controllo. Il secondo requisito è sapere che probabilmente un solo tentativo fallirà. In realtà, ogni tentativo non riuscito rappresenta un gradino superato sulla scala della liberazione definitiva. A furia di sperimentare l’odioso e perverso ricatto del fumo, individueremo quei comportamenti che ci tengono incollati alla sigaretta e li tranceremo per sempre con decisione e con soddisfazione. Una di queste condotte è indubbiamente l’illusione di controllare l’assunzione di una droga potente e letale come la nicotina: è impossibile farlo senza sottoporsi al continue e fastidiose privazione. Quando la dipendenza è davvero patologica come nel caso del fumo (ma non solo) non esiste un continuum di utilizzo: o si assume la sostanza o non la si assume. Punto e basta. Al di fuori di questo, chi si promette di fumare meno o di ridurre il fumo sino a smettere dovrebbe denunciare per truffa il proprio cervello.
Per riuscire a smettere bisogna pensare in termini di ore e frazionare gli obiettivi in modo chiaro e misurabile. Un primo obiettivo può essere smettere per 4 ore e concentrarsi su che cosa succede sul piano fisico e psichico se non inspiriamo più nicotina al ritmo abituale: basta questo per riconoscere con chiarezza quanto siamo dipendenti.
Ma la prova del 9 è proporsi di smettere per tre giorni. Dopo tre giorni il corpo ha smaltito quasi interamente la nicotina e il tasso di dipendenza fisica è molto ridotto. Perciò si sperimenta una vera e propria rinascita energetica che dimostra quanto le sigarette debilitino e dissipino la vitalità. A quel punto il gioco è quasi fatto: basta semplicemente continuare a non fumare per un mese e si è salvi, a condizione di aver capito con chiarezza che non ci si sta privando di nulla e che una sola sigaretta vuol dire anni e anni di sigarette, di alito pesante, di puzza, di malumore, di file ai tabacchini, di spreco di denaro e così via.
Una dipendenza somatosensoriale. Ricercatori americani e europei hanno recentemente scoperto che, oltre alla dipendenza legata all’assunzione di nicotina, la grande resistenza a guarire della malattia da tabacco sia da ricercare in un complesso di associazioni cerebrali rinforzate dalla ritualità implicata nel fumare. Prendere la sigarette, sfilarla dal pacchetto, metterla in bocca, far scattare l’accendino sono comportamenti che si collegano l’uno all’altro rigidamente e rinforzano i sintomi d’astinenza e la dipendenza a livello neuronale. Così il compiere o verder compiere determinati gesti legati al consumo di sigarette può indurre in chi cerca di smettere un forte desiderio di fumare dovuto all’attivazione di aree del cervello visive e motorie che nulla hanno a che vedere con la nicotina. Ciò spiega come mai l’assunzione di surrogati a base di nicotina non funzioni che in minima parte: stimoli motori e visivi disseminati nell’ambiente possono scatenare sintomi di astinenza nel fumatore compensato chimicamente con la nicotina perché i meccanismi che alimentano e mantengono la malattia sono più complessi e più “globali” di quanto per anni si è creduto fossero.
Autore: Dott. Enrico Maria Secci
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