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Europa: class action contro Facebook in Austria

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Raul Bove 3580 giorni fa

Al centro della disputa le presunte violazioni delle leggi Europee sulla privacy ad opera della dirigenza di Facebook. Ma non è la richiesta di risarcimento (500 euro ad utente) a far tremare Menlo Park.

L’udienza prevista a Vienna per il prossimo 9 aprile potrebbe essere l’epilogo della più importante class action europea sottoscritta in nome della privacy. Il condizionale è d’obbligo perché l’ufficio legale di Facebookche per il momento ha imposto all’azienda la fatua linea del “no comment” – punterà tutto sull’irricevibilità della mozione e, qualora questa non dovesse bastare, su una tattica che scorre lungo il binario che porta dall’estraneità ai fatti all’insufficienza di prove.

facebook class action

La vertenza, aperta ai soli utenti europei, riguarda in particolare la presunta partecipazione di Facebook al programma PRISM della National Security Agency (NSA), il tracciamento delle attività utente tramite il pulsante Like e le analisi connesse al mondo dei big data, gli effetti – giudicati irregolari – di Graph Search e la concessione dei dati personali degli utenti ad applicazioni terze.

Più in generale alla sbarra potrebbe andare la politica sulla privacy. Da questo punto di vista la diatriba si fa di ordine filosofico: i promotori della class action sostengono che chiedendo agli utenti di approvare i cambiamenti proposti in materia di privacy (novembre 2012), Facebook abbia volutamente introdotto un quorum (il 30% degli iscritti) irraggiungibile.

È plausibile che questa tesi offra alla difesa la falla per affondare l’intero impianto accusatorio, portando l’attenzione sul fatto che solo poco più dell’1% degli iscritti si sia preso la briga di partecipare al progetto, sottolineando che per gli utenti la privacy non è il tema più sentito. Verrebbe meno la responsabilità di Menlo Park che si sarebbe dimostrata più che sensibile al problema, lasciando agli utenti la facoltà di obiettare alle linee proposte.

Class Action Europa



La causa, intentata il primo agosto 2014 dall’attivista Maximilian Schrems, è tutt’altro che scontata. L’udienza del 9 aprile a Vienna dovrà stabilire se le obiezioni sollevate da Facebook sulla ricevibilità sono pertinenti. Di fatto l’ufficio legale del social network sostiene di non poter essere chiamato in causa in Irlanda (dove Facebook ha la propria sede internazionale) perché, considerato l’elevato numero di attori, ne risentirebbe l’ordine pubblico dell’intera nazione. Allo stesso modo, non è perseguibile in Austria perché non ci sono condizioni che legittimino una qualsivoglia azione legale. Come da copione l’avvocato Proksch, che rappresenta gli utenti, ha replicato definendo “bizzarre” le posizioni assunte da Facebook.

Nei primi sei giorni 25mila persone si sono annunciate al sitofbclaim.com, a seguire altri 50mila utenti si sono registrati per eventuali class action future. Ora la palla passa alla corte austriaca che potrà rimandare al mittente la class action oppure avviare il necessario procedimento giudiziario e dare la possibilità agli utenti di dimostrare la validità delle accuse. Non sono certo i 12,5 milioni di euro richiesti (500 euro ad utente) che impensieriscono Menlo Park.

Un verdetto di colpevolezza oltre a rappresentare un danno all’immagine e alle quotazioni di Facebook, rappresenterebbe un precedente destinato ad aprire un buco nero che potrebbe risucchiare altri colossi quali Google, Microsoft e Apple.

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