Esista un cavillo che fa riferimento all'art. 126-bis del Codice della Strada, in cui si precisa che, in caso di mancata identificazione del conducente responsabile della violazione, il proprietario del veicolo deve fornire all'organo di polizia, i dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione, entro sessanta giorni dalla data di notifica del verbale di contestazione. Se tale comunicazione viene omessa, senza giustificato e documentato motivo, il proprietario è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 284 a euro 1.133.
Un insano meccanismo su cui è stata chiamata a pronunciarsi di recente la Corte Costituzionale, ordinanza n. 12/2017 a seguito della questione di legittimità sollevata dal Giudice di pace di Grosseto. In sostanza, con il pagamento della sanzione si andrebbe a "comprare" l'anonimato per la persona alla guida, non identificata (ad esempio se l'accertamento è avvenuto a mezzo di sistemi di rilevazione) che, dunque, non andrebbe incontro alle conseguenze della sua violazione, ad esempio la decurtazione dei punti o la sospensione della patente.
Secondo il Giudice di Pace la sanzione prevista dalla norma sarebbe stabilita "senza alcun riferimento alla gravità della violazione principale da cui trae origine". Ancora, a suo avviso, la comunicazione prescritta dal citato articolo sarebbe strumentale rispetto allo scopo di applicare al conducente del veicolo la decurtazione del punteggio della patente, ma potrebbe accadere che, qualora l'infrazione da questi commessa consista nella violazione del limite di velocità, soprattutto nei casi più gravi, "generalmente riconducibili ad auto di grossa cilindrata", i proprietari, che "è verosimile ritenere (…) siano presuntivamente di livello economico medio/alto", preferiscano non comunicare i dati identificativi del conducente e pagare la sanzione amministrativa pecuniaria prevista da detta norma censurata, evitando in tal modo la decurtazione del punteggio.
Inoltre, secondo l'ordinanza di rimessione, l'art. 126-bis, comma 2, codice della strada violerebbe gli artt. 3 e 53 Cost., poiché il censurato criterio di quantificazione della sanzione in esame avvantaggerebbe quanti possiedono un'elevata capacità patrimoniale, capaci di "pagare il prezzo dell'anonimato" realizzando un'ingiustificata disparità di trattamento.
Da qui l'esigenza, secondo il magistrato, di graduare la sanzione in base alla gravità dell'infrazione, rendendosi necessario "che il legislatore stabilisca che l'ammontare della sanzione prevista per mancata ottemperanza dell'obbligo di comunicazione (…) sia proporzionato in termini monetari a quello della specifica infrazione che ne costituisce il presupposto".
Tuttavia, l'apparato argomentativo non trova il placet della Corte Costituzionale: per i giudici, la censura riferita all'art. 53 Cost. è priva di un'adeguata motivazione in ordine alle ragioni dell'asserita violazione di detto parametro e tale lacuna costituisce ragione di manifesta inammissibilità. Inoltre, la richiesta del giudice rimettente si connota, precisa la Corte "per un cospicuo tasso di manipolatività, derivante dalla natura creativa e non costituzionalmente obbligata della soluzione evocata, in un ambito, quale quello dell'individuazione delle condotte punibili, della scelta e della quantificazione delle sanzioni amministrative, riservato alla discrezionalità del legislatore ordinario"
Per il Collegio, appare "paradossale" l'ipotizzata necessità di una "graduazione" legislativa della misura delle sanzioni pecuniarie, non già in base alla gravità dell'infrazione commessa, bensì alle capacità economiche del responsabile della violazione (ordinanza n. 292 del 2006). Stante l'inammissibilità della questione, il meccanismo prescritto dall'art. 126-bis del Codice della Strada rimane, dunque, pienamente valido ed efficace.
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