In principio furono i blitz di Cortina.
Era necessario servirsi del circo mediatico per dare qualche caramella al popolino e rafforzare il consenso dell’allora governo Monti. Poi idearono nuove armi: potenziarono il redditometro, crearono l’abominevole «Serpico», misero a punto l’anagrafe tributaria. Migliaia d’occhi dell’Agenzia delle Entrate sulle nostre vite; migliaia di freddi burocrati che ogni giorno diligentemente frugano nei nostri portafogli, nei nostri conti correnti, nel nostro carrello della spesa. Per controllare che tutto sia in regola. Per verificare che tutto ciò che deve finire nello stomaco del Leviatano vi finisca. Perché cosí dev’essere, e in futuro la raccolta dovrà essere ancor piú abbondante. Perché la fame del Leviatano non s’estingue mai. La Bestia non è mai sazia; anzi il suo appetito aumenta d’anno in anno. Serve piú cibo. Servono piú tasse. Serve che tutti facciano la propria parte, volenti o nolenti. La macchina della propaganda statalista ha lavorato bene, molto bene. Da tempo gl’italiani hanno smesso d’esser cittadini. Sono solo servizievoli burattini, anche se molti non se ne rendono conto. Applaudono questo delirio orwelliano, in preda a un’inconsapevole Sindrome di Stoccolma. Applaudono i blitz, i controlli, i software innovativi. A volte, addirittura, contribuiscono alla crociata, segnalando l’esercente che non fa lo scontrino; e tornano a casa felici, con la coscienza a posto. Tanti italiani si sentono investiti d’una missione: la caccia all’evasore. Credono di stare dalla parte giusta: quella delle persone moralmente rette, eticamente superiori, intellettualmente avanzate. In cuor loro, hanno una convinzione: che lo Stato userà bene i soldi in piú che riuscirà a recuperare con la lotta all’evasione.
> Redditometro, un assalto alla libertà
Non è cosí. Benjamin Franklin sosteneva che «Chi è pronto a rinunciare alle libertà fondamentali per comprarsi briciole di temporanea sicurezza non merita né la libertà né la sicurezza». In questo periodo d’incertezza, in cui il futuro è solo un pensiero al quale non si riesce a dar forma, ciò che molti vorrebbero è temporanea sicurezza. Precisamente, risposte: brevi, facili da capire, e che producano risultati immediati. Lo Stato gioca su questo: sulla nostra fragilità e sulla nostra insicurezza. Perciò confeziona slogan facili, orecchiabili. Pagare tutti per pagare meno, chi evade è un parassita sociale, e soprattutto: se tutti paghiamo, la crisi finirà in anticipo. Subdole strategie comunicative con cui lo Stato è abile nel mettere gli uni contro gli altri; nel mettere all’indice, nell’ostracizzare, nel dividere un popolo stremato e sempre piú smarrito. Cosí abbiamo accettato di vendere le nostre vite allo Stato: abbiamo rinunciato alle nostre libertà fondamentali ingenuamente e passivamente, in cambio di qualche pacca sulla spalla, di miraggi ridistributivi, di prediche sulla giustizia sociale. Già, giustizia sociale: il grande alibi col quale si continuano a compiere le peggiori azioni politiche.
> Pagare tutti per pagare meno: un’illusione
Attilio Befera, sostenuto dal ministro Saccomanni, non perde occasione per sciorinare cifre e dare rinnovato vigore alla propaganda: «C’è bisogno di dire una parola forte e certa, d’affermare che l’elusione e l’evasione fiscale non sono compatibili con la nostra economia e con nessun sistema veramente democratico. […] Il rafforzamento della lotta contro la frode fiscale e l’evasione fiscale è non solo una questione d’entrate, ma anche d’equità sociale». Il direttore dell’Agenzia delle Entrate dimentica, tuttavia, di citare altri dati, a parte i soliti reboanti numeri sull’evasione, che ammonterebbe a 130 miliardi d’euro. Giocare con le cifre è fin troppo facile. Ad agosto, ad esempio, il ministero dell’Economia ha comunicato che le entrate tributarie sono aumentate del 9,9% — pari a 329 milioni d’euro in piú — grazie alla lotta all’evasione. Questi soldi come sono stati usati? Non è dato saperlo. Di sicuro, non per diminuire la pressione fiscale. Com’è, allora, che mancano sempre le coperture per questa o quella tassa da eliminare, o per abbozzare un’anche minima revisione della spesa pubblica? Smascherare la propaganda è facile; ma per molti italiani è ancor piú facile credervi — e comodo, per non affrontare la realtà.
Una realtà dove il caro Befera, dall’alto della sua intoccabile posizione d’inquisitore fiscale retribuito coi nostri soldi, si permette di decidere che cos’è democratico e cosa non lo è. Allora, vediamo. Una pressione fiscale di quasi il 70% sulle piccole e medie imprese è democratica?
Che l’Italia sia il Paese dove i manager pubblici sono pagati di piú e hanno un doppio, triplo incarico è democratico? Portare l’IVA fino al 22% e aumentare costantemente le imposte indirette è democratico? Ricevere cartelle esattoriali che per alcuni sono significate condanne a morte è democratico?
Che lo Stato possa impunemente vagliare ogni nostro movimento fiscale, ma tenere all’oscuro le sue spese, è democratico?
L’Italia ha smesso da tempo d’esser una democrazia. È solo una moderna dittatura fiscale, che ha come unico scopo quello d’ingrassare lo Stato e i suoi apparati.
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