l quantitative easing recentemente varato dalla Bce costituisce una svolta importante nella politica economica continentale. La trasformazione in credito ai privati della liquidità immessa nel sistema dipende da tre aspetti: dalla capacità di recuperare produttività e competitività all’intero sistema, mediante profonde riforme di istituzioni e mercati; dall’abilità nel costruire specifici “utensili”, come i mini bond o le cambiali finanziarie e di consolidare il mercato degli strumenti finanziari; dal ridare fiducia al sistema bancario, che riveste un ruolo centrale nel circuito risparmio-investimento. Su Formiche l’articolo di Anna Cinzia Bonfrisco, Senatrice e presidente della commissione bicamerale per la Vigilanza su Cassa depositi e prestiti pubblicato.
Da poco più di un mese, la Banca centrale europea ha dato il via al piano di acquisto di titoli del debito pubblico dei Paesi membri dell’euro per oltre mille miliardi di euro, almeno fino a settembre dell’anno prossimo; di questi, circa 130 sono previsti per l’Italia.
Così, l’Europa ha dato corpo agli auspici di ambienti politici ed economici di molti Paesi, convinti che solo con le maniere forti sia possibile affrontare la crisi che dal 2007 – a più riprese e con multiformi motivazioni, le più recenti delle quali di ordine geopolitico – ha costretto il continente a una persistente situazione di recessione. Soltanto evocato qualche tempo fa da Mario Draghi – cauto quanto efficace presidente dell’istituto di Francoforte – il quantitative easing recentemente varato dalla Bce (e mal sopportato dalla Germania) costituisce una svolta importante nella politica economica continentale, in una congiuntura sostanzialmente deflattiva come l’attuale.
Permette, infatti, di migliorare la competitività delle imprese e ridurre il rendimento dei titoli pubblici senza generare ulteriori deficit, un vantaggio importante per i Paesi indebitati come il nostro. Ma, specialmente, consente a banche e altri intermediari finanziari di disporre di maggiori risorse da destinare a famiglie e, soprattutto, a imprese, sotto forma di crediti e investimenti, questi ultimi scesi lo scorso anno a circa il 15% rispetto al 2007 nell’Ue e addirittura al 25% in Italia. A patto, però, che quest’ultima misura di politica monetaria espansionistica, adottata dalla Bce già dalla fine del 2007, non abbia le stesse conseguenze di altre misure aventi la stessa finalità, come ad esempio le operazioni di rifinanziamento a lungo termine delle banche (Targeted long term refinancing operations – Tltro) varate lo scorso anno, che hanno finito per alimentare il progressivo e drastico ridimensionamento della funzione di intermediazione creditizia cui assistiamo.
Un fenomeno che, purtroppo, in Italia continua a essere più rilevante che altrove, date soprattutto alcune peculiarità, come la struttura del nostro sistema produttivo, composta sostanzialmente da Piccole e medie imprese (Pmi) endemicamente sottocapitalizzate e indotte all’indebitamento bancario; oppure, il peggioramento del merito del credito della clientela e il correlato aumento delle non performing exposures, amplificata da una congiuntura sfavorevole. Rimanendo all’Italia, la trasformazione in credito ai privati della liquidità immessa nel sistema dipende da tre aspetti. Innanzitutto dalla capacità di recuperare produttività e competitività all’intero sistema, mediante profonde riforme di istituzioni e mercati finora, però, risultate marginali, lievi e inadeguate.
In secondo luogo, dall’abilità nel costruire specifici “utensili”, come i mini bond o le cambiali finanziarie e, più in generale, di consolidare il mercato degli strumenti finanziari, con un ruolo ancora insufficiente nel reperimento di risorse alternative al credito bancario, specialmente economia alle imprese. In terzo luogo, è necessario ridare fiducia al sistema bancario, che riveste comunque un ruolo centrale nel circuito risparmio-investimento. Il tentativo di risolvere tale questione per via regolamentare, non sembra risolto dal set di regole adottato a più riprese, il cosiddetto Basilea III.
Quelle regole che nel 2008 hanno cercato di rafforzare la capacità del sistema bancario di assorbire shock causati da tensioni non soltanto finanziarie, così da minimizzare il rischio di contagio all’economia reale che, invece, si è concretizzato; che nel 2009 hanno tentato di uniformare il funzionamento del settore e che nel 2011 hanno mirato a creare regole per gestire in maniera coordinata le crisi, comportando un significativo rafforzamento patrimoniale, migliorando la redditività del sistema e accrescendone la stabilità. Il tutto, come ricordava in una recente audizione il presidente della Consob, “a costo di una contrazione dei prestiti al settore produttivo, che ha amplificato l’intensità della crisi”. Un’eventualità tutt’altro che remota anche in relazione a nuove misure decise alla fine dello scorso anno dal Financial stability board per fronteggiare il pericoloso fenomeno del to big to fail (troppo grande per fallire), con l’istituzione, a partire dal 2017, di un ulteriore cuscinetto di capitale e di debito che sarà in grado di assorbire perdite significative in caso di crisi (Total loss absorbing capacity – Tlac).
Quindi, il quantitative easing manterrà le sue promesse? Si tratta di fare leva sul concetto di garanzia, strumento necessario a limitare i rischi. Rafforzando, ad esempio, il Fondo centrale di garanzia per le Pmi – più volte rifinanziato e potenziato nella sua operatività – di cui, peraltro, dovrà verificarsi l’integrazione con analoghi strumenti della Bei all’interno del Fondo europeo investimenti strategici, previsto dal Piano Juncker, affinché questi possano essere aggiuntivi rispetto allo strumento nazionale. Al Piano Juncker parteciperà la Cassa depositi e prestiti (Cdp), la società del Tesoro che proprio sulla garanzia fonda la sua attività a sostegno dell’intera economia.
Una società che, a partire dalla profonda riforma del 2003, ha assunto un ruolo complementare al sistema bancario, passando da storica struttura di finanziamento degli enti locali, a holding e intermediario che opera stabilmente a sostegno del sistema produttivo, non più come mero erogatore di risorse, ma promotore di iniziative di mercato. Potendo contare sulla provvista derivante dal risparmio pubblico, dal 2009 sono stati mobilitati circa 30 miliardi di euro per erogare, attraverso il circuito bancario, prestiti a medio e lungo termine, a fronte di investimenti, capitale circolante e programmi di internazionalizzazione, soprattutto delle Pmi e delle loro reti.
Non meno rilevante è il sostegno alle famiglie: basti pensare al più recente strumento per aiutare principalmente giovani coppie, famiglie con disabili e famiglie numerose ad acquistare o ristrutturare la prima casa. In sostanza, uno strumento che opera in maniera non convenzionale per l’operatore pubblico, anche in considerazione dei rilevanti vincoli di bilancio, ma che svolge un ruolo essenziale per una crescita stabile e duratura.
FONTE: Formiche
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