Primo film cinese con un protagonista americano, girato in lingua inglese ma da un regista cinese, con un budget a dir poco stratosferico, che va oltre i 135 milioni di dollari.
Di The Great Wall si è discusso tanto ancora prima che sia uscito il trailer. E anche dopo quest'ultimo la discussione è proseguita incessantemente, a prescindere dal contenuto del film stesso e dalla sua riuscita. Perché The Great Wall rappresenta innanzitutto una notizia, una "prima volta", un evento.
William e Tovar sono due mercenari europei, in Cina con una missione: recuperare un po' della fantomatica "polvere nera", antenata della polvere da sparo, e portarla in Occidente. I due sopravvivono all'assalto di una creatura sconosciuta di colore verde, di cui conservano un arto reciso. Catturati dalle truppe d'élite dell'esercito cinese, finiscono per combattere al loro fianco contro i mostri verdi, denominati Taotie, che ogni 60 anni minacciano il mondo degli uomini. La Grande Muraglia è stata eretta proprio per cercare di fermarli, con ogni mezzo.
La Cina vuole dimostrare al mondo di cosa sia capace e ancora una volta è impossibile non rimanere ammirati di fronte alla magnificenza delle coreografie, all'uso delle comparse per le scene di massa, al ricorso a un 3D dalla vivida e impressionante verosimiglianza. Ma è come se l'industria cinese, che fabbrica a ripetizione blockbuster sempre più costosi, mirasse al superamento di se stessa sul mero piano tecnico, accontentandosi del fatto che a un pubblico che proviene da decenni di negazioni vada bene così. Come qualcuno laggiù comincia a osservare, è altro che manca al cinema commerciale cinese per ambire a un primato che sia tale a tutti i livelli: e non sarà The Great Wall a cambiare le cose, se non (forse) a seguito di un insuccesso al di fuori dei confini patri.
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